U Cabanin, formaggio tipico del genovesato, è una bella storia da raccontare… e con un lieto fine. E’ il racconto di una razza quasi estinta, che sta lentamente ripopolando alcuni monti dell’Appennino e di un formaggio che era la tradizione del genovesato e ora ritornato sulle tavole. E’ un formaggio del cuore, perché racconta la Liguria vera, meno turistica, nella sua essenza e nella sua tenacia. Volgendo l’occhio al futuro, può essere anche un’opportunità per il recupero del territorio e offrire nuove prospettive di lavoro.
Così inizia il mio articolo con cui ho vinto il concorso Racconta il formaggio del cuore, organizzato dall’ Ecomuseo delle acque di Gemona e dal periodico mensile di buongusto ed enogastronomia QB Quantobasta. All’articolo ho allegato la ricetta dei Corzetti al pesto di U Cabanin, per un piatto tutto ligure.
La Liguria non ha grandi terreni: è fatta di piccoli appezzamenti, colline e monti con alla base il mare, quasi senza pianura. L’ambiente è spesso aspro e ogni piccolo pezzo di terra deve essere guadagnato duramente, rubato ai pendii, spianando quei pochi metri dove si può, con tanti muretti a secco e con la difficoltà di raggiungere le fasce con mezzi meccanici. Ovviamente l’allevamento di grandi animali non trova spazio: è un terreno da capre, non da mucche.
Ciò malgrado, e lo dico con un certo orgoglio, abbiamo la nostra razza autoctona: la vacca Cabannina, conosciuta anche come Montanina. Il suo nome deriva da Cabanne, un piccolo paese della Val d’Aveto, in provincia di Genova. E’ un’animale adatto all’habitat ligure, con poche esigenze. E’ la mucca che avevano i contadini dell’entroterra, per uso personale: due o tre capi al massimo che, dalla primavera all’autunno, complice anche il clima mite, se ne stanno in alpeggio, brucando erba e fiori del territorio, tra le radure in mezzo alla vegetazione di castagni, roveri e faggi. in competizione con i cinghiali.
I numeri non sono grandi e precipitano drasticamente in pochi decenni. Agli inizi del ‘900 sono presenti nel territorio del genovesato oltre quarantamila capi, ma con lo spopolamento delle campagne e, soprattutto, a causa del boom economico degli anni ’60, i numeri diventano irrisori. A ciò si aggiunge la Legge n. 126 del 1963, che disciplina la riproduzione bovina, che obbliga a sostituire molte razze autoctone con altre più produttive: la Cabannina viene sostituita con la Bruna alpina. E’ così che molte razze si estinguono o contano numeri irrisori: la Grigia Val d’Adige, il Bue d’Ischia, la Pontremolese, la Pustertaler, solo per citarne alcune; nel 1985 si contano meno di 150 cabannine e, nel 1988, solo 22 varzesi contro le cinquantamila degli anni ’50. E’ l’epoca delle Frisone e delle Brown: la loro produzione giornaliera di latte raggiunge i 50 litri a confronto con i 23-24 di altissima qualità della Cabannina, ma… vivono un quarto degli anni delle autoctone e mangiano immensamente di più! Impossibile immaginare una grande frisona che si inerpica sull’Appennino e bruca il foraggio magro e gli arbusti delle valli liguri.
La cabannina è di stazza mediopiccola, con gambe corte adatte a pascolare nei bricchi, ha duplice attitudine (carne e latte) e non ha bisogno di cure, partorisce da sola sui monti ed è resistente agli agenti patogeni. E’ di carattere docile, dal manto marrone con sfumature rossastre e la caratteristica riga mulina color crema sul dorso.
A partire dal 1982 la Regione Liguria con l’Associazione Allevatori della provincia di Genova e le Comunità Montane hanno svolto un lavoro di recupero con alcuni allevatori che ha consentito di arrivare a circa 300 capi.
Dal 2010, la razza Cabannina è diventata Presidio Slow Food.
Come ho raccontato nell’articolo, la razza Cabannina vanta anche un antico lignaggio. Da uno studio sul suo DNA del prof. Vigo dell’Università di Pavia, è stata tracciata una linea diretta con il “bos primigenius”, che non è stata mai riscontrata in altre razze bovine, mantenendo quindi il suo antico patrimonio genetico.
U Cabanin
U Cabanin, termine in dialetto genovese che significa “il cabannino”, è un formaggio a latte crudo di solo latte intero di vacca Cabannina, da cui prende il nome. Nel 2007, tramite l’A.P.A. e la Camera del Commercio di Genova, gli anziani della zona di Cabanne e un tecnico casaro hanno messo a punto un disciplinare per la produzione di U Cabanin che coniuga la tradizione con le norme igienico-sanitarie.
Il suo sapore è sapido, forte, con un leggero sentore acidulo e con il profumo del foraggio della Val d’Aveto. Il formaggio a latte crudo, a differenza di quello con latte pastorizzato, mantiene le caratteristiche delle razze autoctone, il profumo e l’aroma del territorio e può essere prodotto solo in quella zona, mantenendone la tipicità: non è replicabile altrove. La pastorizzazione semplifica il processo di caseificazione, sia dal punto di vista igienico sia da quello logistico, ma ne uniforma il gusto e uccide i batteri positivi del latte, in cui devono poi essere inoculati dei fermenti.
U Cabanin ha una forma cilindrica, con un diametro tra i 17 e i 19 centimetri e un’altezza dai 7 ai 9 centimetri. Il peso oscilla tra i 1200 grammi e i due chili. Il suo sapore è marcato, sapido in cui si sente, oltre al gusto di latte, il sentore dell’erba e dei fiori del territorio ligure; la struttura è consistente. Le materie prime sono disciplinate rigidamente. Il latte intero deve avere un minimo di grassi pari al 3,4%: ha un buon rapporto tra grassi e proteine ed è particolarmente indicato per la caseificazione. Inoltre i globuli di grasso sono più piccoli rispetto a vacche più produttive, garantendo maggiori digeribilità e potenziale nutritivo.
Il caglio di vitello è liquido per il formaggio fresco e in pasta per quello stagionato, mentre il sale deve essere grosso.
Produzione di U Cabanin
Viene usato il latte di vacca Cabannina, munto entro quarantotto ore e conservato in appositi contenitori refrigerati, filtrato, per asportare eventuali impurità grossolane e riscaldato in caldaia a una temperatura tra i 36 e i 39 gradi. Si addiziona quindi il latte scaldato con caglio di vitello liquido o in pasta (da 25 a 35 g di caglio per 100 litri di latte) e si lascia coagulare per un’ora circa a una temperatura tra i 35 e 39 gradi.
Segue la rottura della cagliata alle dimensioni di chicco di mais. Dopo un brevissimo riposo, si estrae la massa con appositi teli di cotone e si ripone in appositi stampi forati per fare uscire il siero. Le forme dove riporre il formaggio sono chiamate in dialetto “frescelle” e sono realizzate da un unico blocco di pero o di pioppo con il tornio.
La forma di formaggio sarà poi pressata e rivoltata per due, quattro volte a mano in un giorno. Viene quindi salata con sale grosso e successivamente lavata. Su un lato piano è apposto un timbro in caseina, con l’identificazione del lotto.
U Cabanin è poi collocato a stagionare nei locali adibiti per un periodo che varia dai 40 ai 70 giorni, a una temperatura tra gli 8 e i 16 gradi.
Prima di essere messo in vendita, viene apposta l’etichetta dove spicca il logo del marchio collettivo, con in primo piano la mucca Cabannina al centro, sopra due monti dell’Appennino e sotto il Mar Ligure.
Negli ultimi decenni è cambiata l’attenzione verso il territorio in tutti i suoi aspetti, in Liguria come altrove. Gli enti preposti, le associazioni, i presidi Slow Food, insieme a produttori attenti e alla collettività, cercano di preservare la tipicità del prodotto locale in una visione più ampia: non solo quel prodotto, ma la sua provenienza, la sua storia e il suo contesto sociale, il legame con quella determinata zona, il suo metodo di produzione, le qualità organolettiche che lo rendono unico, favorendo e arricchendo il turismo, non solo enogastronomico.
U Cabanin non è solo un formaggio: ha la sua radicalizzazione nel territorio del genovesato, spesso inospitale; ha la sua storia che descrive le famiglie dell’entroterra, che vivevano dei loro prodotti; ha la sua tipicità, che è unica come tutti i prodotti locali. Non è replicabile altrove: il latte proviene da quelle specifiche mucche che mangiano quello specifico foraggio di quella determinata zona e l’utilizzo del latte crudo ne mantiene tutti i sapori e le qualità.
U Cabanin potrebbe diventare un progetto che, oltre a creare nuove opportunità di lavoro per giovani allevatori e casari, amplierebbe l’offerta turistica della Regione. Il Parco Aveto, ad esempio, è una tra le zone più belle dell’Appennino ligure, con le cime più alte della Liguria, punti di grande interesse geologico, percorsi trekking e MTB adatti a famiglie, come l’anello del lago di Giacopiane e a escursionisti esperti, centri rurali ben conservati, monumenti di interesse architettonico e una tradizione casearia consolidata a Santo Stefano d’Aveto e dintorni, solo per citarne alcune.
In una società fortemente globalizzata, la scoperta di piccole realtà, di cui la nostra nazione è così ricca, ci consente di preservare la nostra identità individuale e collettiva.
Nota. Le fotografie dell’ allevamento e del formaggio U Cabanin sono state scattate da me presso l’azienda Petramartina.
Fonti.
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/razza-bovina-cabannina/
http://www.agriligurianet.it/it/vetrina/prodotti-e-produzioni/carni-salumi-e-uova/prodotti-tipicicarni/item/343-vacca-cabannina.html
www.ucabanin.com