“… Nell’oggi, in cui vediamo ancora una volta e tragicamente milioni di persone muoversi dalla fame verso il pane perchè noi non siamo capaci di far muovere il pane verso la fame, questa sapiente memoria del «pane nostro» ricorda a tutti che
il pane o è «nostro», condiviso, oppure cessa di essere pane.”
Questa frase di Enzo Bianchi, nella prefazione di “Pane nostro” di Predrag Matvejević, sintetizza il significato del pane: non un semplice alimento, ma un filo conduttore che lega la storia dei popoli e delle città … e li accomuna. L’autore ci porta, attraverso i secoli e le diverse società e culture, in un viaggio dove il pane è un atto di condivisione.
Ho letto questo libro per la Festa transfrontaliera de Lo Pan Ner – I Pani delle Alpi, seconda edizione, che si terrà ad Aosta il 14 e 15 ottobre 2017. Questa manifestazione, che ha il supporto dell’Aifb e della Regione Autonoma Valle D’Aosta –Bureau régional ethnologie et linguistique, ha lo scopo di promuovere il pane nero, la sua tradizione e la sua cultura popolare.
Mi è piaciuta subito questa iniziativa: come tutti i genovesi e i liguri, la montagna è nel nostro essere. Il pane nero non è nella nostra tradizione, anche se è diventato comune sulle nostre tavole: grande però è il fascino esercitato dai forni comuni in montagna, meno radicati nella mia regione e, comunque, ormai parte di un passato durato fino al dopoguerra.
Sul sito http://www.lopanner.com/2017/, dedicato a questo evento, viene spiegata tutta la filiera del pane di segale, dai cereali e la loro coltivazione alla preparazione del pane e la sua conservazione, dall’architettura dei forni alla cottura del pane e la convivialità che lo accompagna.
Pan Ner, un percorso lungo un anno.
“Per lungo tempo, e da qualche parte fino a oggi, il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che ci si mangiava insieme era un’aggiunta, un accessorio: il companatico. I ruoli sono mutati: il pane nei tempi nuovi è diventato sempre più un contorno. È una delle differenze da cui il mondo dei poveri si distingue da quello dei ricchi: i primi ne vogliono sempre di più, gli altri vi rinunciano volentieri.”
Scopro così che il consumo del pane in Italia è crollato a 90 grammi al giorno (Coldiretti, giugno 2015). Non era così in passato, quando segale e frumento erano le coltivazioni preferite in Vallée, sia perché maturavano prima e sia perchè resistevano meglio al freddo (le coltivazioni arrivavano fino a duemila metri).
A settembre si seminava a spaglio, cioè spargendo manciate di semi sul terreno arato, mentre si mieteva a luglio e i muli trasportavano i covoni alle aie.
Le spighe venivano battute: il grano era conservato nell’artse della segala, una grande madia con coperchio, e conservato per tre mesi; la paglia era raccolta e legata in fascine, usata nelle stalle.
I forni.
I forni attivi attualmente sono circa 140, ma in passato erano molto numerosi. Se di proprietà dei nobili, veniva loro versato un tributo dai contadini.
Si distinguono in due tipologie:
con il focolare esterno, a volte protetti da tettoie e generalmente addossati a un edificio principale;
con il focolare interno, più confortevoli.
Sono generalmente coperte da lose, lastre di pietra e la bocca è triangolare nei forni più antichi, tra il XVIII E XIX secolo, mentre ad arco nei recenti: due esempi di forni a bocca triangolare sono ad Anselmet (1651) e a Buillet di Introd (1692). Erano costruiti da muratori specializzati, soprattutto provenienti dalla bassa Valle del Lys .
I forni collettivi avevo uno statuto che ne regolava le attività.
Il primo turno di cottura andava a rotazione: era il più complesso, perché il calore del forno doveva stabilizzarsi e il pane risultava di qualità inferiore. I forni dovevano rimanere accesi giorno e notte: si iniziava a preriscaldare a santa Barbara, 4 dicembre e si proseguiva per settimane.
Ogni famiglia si portava il necessario per il pane e per il forno. Le essenze più usate erano il pino e il larice e la volta doveva essere bianca per iniziare la cottura.
La Segale
La segale (Secale cereale), o segala, è conosciuta dall’età del bronzo e sembra si sia diffusa dall’Asia minore. Molto robusta, è diffusa soprattutto nel nord Europa e nel nord Italia, particolarmente nelle Dolomiti. In cucina, si utilizzano sia i chicchi lessati, come base di insalate, o nelle minestre e la farina. Miscelata ad altre farine, è base di ottimi pani, anche con l’aggiunta di semi, e dolci da credenza.
Oltre a essere ricca di fibre, è povera di glutine e ha un indice glicemico medio. Sembra che il suo consumo contribuisca a proteggere dall’aterosclerosi e dalle malattie cardiovascolari.
Il Pane.
L’inizio era il lievito, un lievito naturale ricavato dal luppolo e preparato dall’anziana del paese.
Il locale della panificazione e della cottura, la tsambra, aveva una temperatura elevata per consentire la lievitazione. L’acqua era dei torrenti, priva di calcare.
La produzione media era di cento pani, cento chili di segale: il pane di un anno.
L’impasto era appannaggio degli uomini, mentre la pezzatura, dal chilo e mezzo ai tre, era delle donne, la forma rotonda. Il pane era pronto quando, battendo con le nocche, il suono era quello giusto.
La Zuppa Valdostana alla Portofino è una ricetta fatta di ingredienti semplici, dove il pane nero è il filo di unione tra le due regioni, con la fontina e il pesto: due tipicità che ci identificano. I tempi sono più quelli di una volta che quelli attuali … famiglia, lavoro e impegni quotidiani spesso non ce lo permettono. Nel fine settimana, se tutto può rallentare, possiamo dedicarci a questa ricetta: è lunga per i tempi di lievitazione, non di esecuzione. Il pesto dovrebbe essere pestato nel mortaio, ma ormai anche a Genova si prepara raramente, anche per una manualità perduta; le proporzioni tra gli ingredienti sono leggermente modificate per questa ricetta: quello classico è qui!
Per i genovesi il pesto cotto era un anatema: è stato sdoganato con le lasagne al forno alla Portofino (da cui la mia variante) e poi con le varie pizze, focacce, piadine, farinate, …
Il pesto che avanza condirà delle ottime lasagne alla segale lessate con fagiolini e patate oppure, come facciamo sempre noi in casa, su una fetta di pane aspettando la cottura delle trenette!
Ricetta Zuppa Valdostana alla Portofino
Ingredienti
Pane di segale (Ricetta tipica Valdostanana)
- Farina di segale integrale, grammi 550
- Farina di grano tenero tipo 0, grammi 250
- Farina di grano tenero integrale, grammi 200
- Acqua grammi 620-650, (ne ho usato grammi 630)
- Sale grammi, 20
- Lievito di birra grammi, 20
La sera prima, impastare:
- farina di segale, grammi 450
- farina tipo 0, grammi 100
- farina integrale, grammi150
- acqua naturale, grammi 450
- lievito di birra, grammi 5
Procedimento
- Intiepidire l’acqua a 35 gradi circa e sciogliervi il lievito. Impastare tutti gli ingredienti e lavorare a lungo battendo l’impasto sulla spianatoia.
Formare una palla, coprire e lasciare lievitare tutta la notte.- La mattina dopo, intiepidire 180 grammi di acqua, sciogliervi il lievito e diluire l’impasto lievitato.
Aggiungere le farine rimaste e poi il sale. Lavorare a lungo prima nel contenitore e poi sulla spianatoia.
Coprire e far lievitare per tre ore circa.
Formare una pagnotta unica o due pani: nel mio caso ho formato un filone con cinquecento grammi di impasto e una pagnotta con il restante.
Infarinare bene e coprire.
Fare lievitare per quaranta minuti circa.Cottura nel forno elettrico
Portare il forno a 220 gradi statico.
Infornare il filone con una ciotolina di acqua calda.
Cuocere per quindici minuti, abbassare la temperatura a duecento gradi e proseguire la cottura per trenta minuti. Spegnare il forno e lasciare il pane con lo sportello leggermente aperto per 10 minuti.Cottura forno a legna
Scaldare il fuoco fino a 230 gradi: noi generalmente prepariamo una farinata o una focaccia al formaggio con la fiamma e poi togliamo i residui di legna e cenere.
Infornare la pagnotta e cuocere per quarantacinque/cinquanta minuti.Raffreddamento
Porre i pani di segale su una griglia e coprire con un canovaccio, fino al raffreddamento completo.
Brodo vegetale (peso delle verdure pulite)
- Carote, grammi 100
- Cipolla, grammi 70
- Sedano, grammi 70
- Porro, grammi 20
- Patate, grammi 200
- Acqua, un litro e mezzo
- Sale
Tagliare le verdure a pezzetti, coprirle con acqua fredda e portarle a bollore per circa un ora e mezzo.
Salare leggermente.
Filtrare, passare le patate allo schiacciapatate e unirle al brodo.Pesto
- Foglie di basilico genovese , grammi 100 (non deve avere sentore di menta)
- Formaggio grana padano, grammi 90
- Formaggio pecorino sardo, grammi 50
- Pinoli, grammi 25
- Aglio, due spicchi medi
- Sale marino grosso, grammi 4
- Olio evo ligure, q.b. (o di sapore delicato)
Lavare e asciugare delicatamente le foglioline di basilico: non si devono spezzare, altrimenti si ossidano.
In un robot, con brevi rotazioni (non si deve assolutamente scaldare), tritare tutti gli ingredienti escluso l’olio.
Il trito deve avere una sua leggera consistenza.
Versare la salsa in un barattolo, coprire con un filo d’olio, chiudere e conservare in frigorifero.Ingredienti Zuppa Valdostana alla Portofino
- Pane di segale, grammi 300 (preferibilmente di uno o due giorni prima)
- Pesto, grammi 170
- Fontina valdostana Dop, grammi 120
- Brodo vegetale
- Parmigiano grattugiato
- Olio evo, grammi 30
Tagliare il filone di segale a fette spesse un centimetro. Inzupparle nel brodo vegetale tiepido.
Tagliare la fontina a fettine.
Diluire il pesto con l’olio evo e due cucchiai di brodo freddo.
Allargare qualche cucchiaiata di pesto sul fondo di una pirofila da forno.
Disporre sopra le fette di pane ammollate, rialzandole leggermente sui bordi.
Bagnare ancora con cucchiaiate di brodo, in modo che il pane sia ben inzuppato e rimanga morbido anche dopo la cottura.
Distribuire la fontina tagliata e sopra il pesto, tenendone da parte un cucchiaio abbondante.
Nella salsa rimasta, sbriciolare una fetta di pane bagnata: condirla bene e aggiungere una manciata di grana grattugiato.
Coprire la zuppa con il composto, spolverare ancora con del grana e cuocere in forno caldo a 180 gradi per trenta minuti o fino a quando la superficie sarà croccante.
Da noi il mare sale per rocce e per dirupi col suo respiro. (Francesco Biamonti)
Genova è una città verticale, anche la Liguria lo è, nel territorio e nell’urbanistica: sarà per questo che amiamo tanto la montagna. Sembra un piano ruotato a novanta gradi, il mare alla base e la collina perpendicolare: strappiamo lembi di terra a questa verticalità, ma a volte sono così stretti da sembrare poco più che sentieri. Mi stupisco sempre quando vado a Riomaggiore (e non solo!): ci sono delle crose che sembra si debbano inerpicare tra le vette, talmente strette e con gradini così alti che mi chiedo come facciano tanti turisti a salirli: malgrado la notorietà del paese, è comunque sempre una località sul mare! Anche Genova non fa eccezione: i punti più belli e amati dai genovesi sono quelle più in alto, come ben descrive G. Caproni nei suoi versi:
… Quando mi sarò deciso
d’ andarci, in paradiso,
ci andrò con l’ ascensore
di Castelletto, nelle ore notturne,
rubando un poco
di tempo al mio riposo ..
Non per questo lasceremmo il mare, è il nostro DNA; quando possiamo scappiamo però in montagna e non solo d’inverno a sciare, ma d’estate per le vacanze e le ferie, verso il vicino Piemonte e la Valle d’Aosta, la nostra seconda casa! Oppure una gita sui Forti, che sembra veglino sulla città, o sul Monte Antola, dove i miei genitori mi portavano quando ancora non camminavo! Il carattere è di mare: chiuso, “sarvegu” (poco socievole, musone, anche un po’ scorbutico). Forse per questo nell’entroterra cittadino non c’erano forni comuni, ma forni dei negozi: le mie nonne andavano nel forno del paese a cuocere i pandolci di Natale, oppure si arrangiavano con il fornetto della cucina economica! Il legame con il forno a legna è stretto, forse anche per il tipo di cucina! Moltissimi giardini hanno il forno a legna esterno, mentre con mio marito abbiamo ricavato un forno interno a una costruzione in giardino, che accendiamo almeno una volta alla settimana: nessuno rinuncia a una farinata, una pizza o una focaccia al formaggio! Il forno è individuale, per condividere un piatto con la famiglia o con gli amici e non un punto di aggregazione e convivialità! Caratteristici in Liguria sono i forni sospesi nell’aria, dove spuntano dalle facciate delle case i corpi esterni dei forni con la bocca all’interno: se ne possono vedere moltissimi a Castelvecchio o a Zuccarello, sopra Albenga, in provincia di Savona.
“Se allora mi avessero domandato che forma ha il mondo avrei detto che è in pendenza, con dislivelli irregolari, con sporgenze e rientranze, per cui mi trovo sempre in qualche modo come su un balcone, affacciato a una balaustra, e vedo ciò che il mondo contiene disporsi alla destra e alla sinistra a diverse distanze, su altri balconi o palchi di teatro soprastanti o sottostanti, d’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole.”
(Italo Calvino)
BIBLIOGRAFIA
“Pane nostro”, di Predrag Matvejević – Ed. Garzanti“Il Pane – Un’arte, una tecnologia” di P. Giorilli, S. Lauri – Ed. Lucisano Zanichelli
http://www.lopanner.com/2017/