La Farinata di ceci genovese, in genovese a fainà, è il piatto più indicato per inaugurare la sezione del forno a legna: è una delle ricette che si associano subito a una fiamma che scoppietta, con i suoi bei riflessi di un caldo oro-arancione.
È uno tra i piatti più rappresentativi di Genova e della Liguria, amata da tutti, precursore del moderno Street Food!
La farinata ha origini remote, tra mito, leggenda e verità.
Scrisse il poeta Olindo Guerrini, o meglio Lorenzo Stecchetti (1845-1916)
Dante, mal festi quando, nei tuoi versi,
parlando d’Ugolin preso alla magra,
chiamasti quei di Genova “diversi
d’ogni costume e pien d’ogni magagna”.
Or davvero essi son pel mondo spersi,
dall’uno all’altro polo, in Francia e in Spagna,
in America, in Cina, fra perversi
selvaggi e fra civili, e niun si lagna.
Dell’ingiusto giudizio or la più fina
vendetta sui tuoi canti hanno inventata,
e te la fanno sotto gli occhi aperti.
Tu celebrasti il grande degli Uberti
ed essi, in Ponticel, dalla Bedina,
celebrano ogni dì la Farinata
Dove Bedin è un locale storico nella vecchia Piazza Pontexello, Puntexellu, famoso per la farinata.
Le origini
Il tempo più lontano a cui si fa risalire l’origine della farinata è il periodo dell’Impero Romano. Si narra che le truppe romane che occupavano Genova, al posto della farina di grano, usassero la farina di ceci, più nutriente e meno costosa: ne facevano un impasto con acqua, che poi cuocevano al sole o sugli scudi.
Sembra invece che sia nata per caso, ai tempi delle Repubbliche Marinare quando, nel 1284, Genova sconfisse Pisa nella Battaglia della Meloria.
Le galee genovesi erano cariche di prigionieri e, durante una tempesta presso il Golfo di Buscaglia, alcune di esse imbarcarono acqua. Alcuni barili d’olio e dei sacchi di ceci si aprirono, inzuppandosi di acqua salata. I legumi si ammollarono e formarono una purea, che diedero da mangiare ai vogatori pisani.
Pare che il cibo non abbia incontrato il favore dei prigionieri: molti infatti lo rifiutarono lasciandolo al sole.
Il giorno dopo però, spinti dalla fame, assaggiarono il composto che si era essiccato e lo trovarono gustoso.
Si era trasformato in una gustosa focaccia!
Rientrati a Genova, i prigionieri furono portati nel quartiere “Campus Sarzanni”, dal nome della vicina piazza Sarzano e che fu, da allora, ribattezzata Campopisano.
La gustosa ricetta venne migliorata, cuocendola in forno: nacque così la farinata, che fu però chiamata “l’oro dei pisani”, come scherno per gli sconfitti.
Fondamentale, per ottenere una buona farinata, è l’ olio. Nel 1447 fu emanato a Genova un decreto che stabiliva le regole per preparare l’allora chiamata scripilita, proibendo categoricamente l’ utilizzo di olio scadente.
Le sciamadde
Non si può parlare della farinata di ceci senza nominare le sciamadde.
Sono i locali dove viene cotta la farinata, in primis, ma anche le torte di verdura, i baccalè (baccalà fritto in pastella), i pigneu (pesciolini fritti in olio caldo dove si mangia tutto e serviti in cartocci di carta).
Il nome sciamadda sembra derivi dalla fiammata che si forma con l’accensione delle fascine.
Questi locali sono caratterizzati innanzitutto dal forno a legna, da un bancone di marmo e dalle piastrelle bianche come rivestimento per facilitare la pulizia. Spesso sono collocati dei tavolini di marmo, dove le persone possono mangiarsi la farinata a tavolino.
Sono dislocate principalmente nel centro storico, resistendo imperterrite al fast food: c’è un locale in Sottoripa, nel centro storico, dove Luca va spesso a mangiare quando è in università: friggono ancora in grossi pentoloni alimentati dal fuoco a legna, i ronfò!
Vi si trovano a mangiare, spesso abbarbicati a un bancone (perché questi locali sono sempre piccoli), anziani, portuali, studenti, professionisti, operai, casalinghe e , naturalmente, turisti. Questi sono locali dove non esiste distinzione sociale..tutti in attesa, in fila ordinata, della farinata o del baccalà servita dal “fainotto” e bella calda..quasi ustionante!
Un tempo i fainotti, per richiamare le persone nelle sciamadde, urlavano:
Gh’ emmu a fainà cada; vegnì ca lè bixara;
a lè brustulìa cumme in friscieu, a lè tutt’oeiu
La Farinata di ceci nel mondo
La farinata è piatto conosciuto ed apprezzato in Italia e nel mondo.
In Toscana si chiama cecina, torta di ceci o calda calda.
Nell’Alessandrino e nel basso Piemonte, bela cauda.
In Sardegna, portata dai Genovesi, fainè o fainò.
Nella vicina Costa Azzurra, prende il nome di socca, mentre in Argentina fu portata dai tanti genovesi che vi si stabilirono ed in Uruguay, il 27 agosto, si celebra la giornata della fainà!
La Farinata di ceci nella mia famiglia.
Per quanto mi riguarda, invece, la tradizione della farinata di ceci è iniziata con mio zio Attilio, fratello di mia mamma e proseguita da Carlo: il fainotto capostipite!
Io preparo la pastella, ma non la cuocio perché, in tutta sincerità, non mi sono mai dedicata alla cottura nel forno a legna, non ho passione! Adoro vedere la cottura con la fiamma: il calore che si diffonde proprio nel cuore è impagabile!
Quello che non ci siamo mai spiegati è come facesse a riuscirgli così buona…parlo di mio zio! Tendenzialmente un po’ pasticcione, non si cucinava neanche un uovo sodo o al tegamino
Viziato in modo esagerato da mia zia Irma, la sorella, che con le parole “ehhh, poviou Tilliu” (povero Attilio) racchiudeva: è stanco, ha da fare, non è capace (u nu l’è bun) e, nei momenti invece di nervoso,diventata con a testa grossa pinna de armelle de succhin che, tradotto, “cosa ci vuoi fare, ha la testa grossa piena di semi di zucchine (quelli delle zucchine che si fanno ingrossare, quasi zucche, per conservare la semenza, per intenderci).
Chiariamo, non che mia zia fosse così succube, lo faceva trottare in certe cose, ma questa è un’ altra storia…
Dicevo, quindi, che mio zio non sapeva cucinare un uovo al tegamino, ma la farinata gli riusciva benissimo: sottile, croccante al punto giusto, di un bel colore oro … fantastica insomma!
Si mangiava a pranzo e tutto iniziava dalla sera precedente.
Mia zia diluiva la farina di ceci nell’acqua con il sale grosso, e la riponeva in un luogo fresco a riposare fino al giorno dopo.
Qualche ora prima della cottura, zio Attilio iniziava l’accensione del forno.
Lui poco paziente, lo scaldava molto lentamente, un legnetto per volta, finché non arrivava alla giusta temperatura, che sapeva solo lui, con l’occhio dell’intenditore.
Il forno non aveva temperatura alta. Come legna usava il legno di acacia (gaccia) e, un po’ prima di infornarla, usava solo rami lunghi di alberi da frutto, principalmente nocciolo, che hanno la caratteristica di non scoppiettare e non fanno saltare piccoli tizzoni (zimme) sul prezioso cibo.
Il testo in rame.
La farinata di ceci va cotta rigorosamente nel testo: un tegame più o meno grande di rame stagnato.
Il primo testo lo comprammo durante una spedizione a Cabella Ligure, uno di quei negozi che hanno un po’ di tutto, come gli empori statunitensi…o quasi!
Vedemmo un testo che sembrava perfetto e, devo dire, lo era veramente…cuoce ancora benissimo: è passato a noi!
Purtroppo negli anni è diventato un po’ storto (scivertou), perdendo la sua perfetta aderenza al piano, ma per noi non è un problema!
Carlo, che ama le cose secche, mangia le fette più basse, praticamente sottilissime. Io invece quelle poco più alte perché, intendiamoci, la farinata alta è solo per quei farinotti che la preparano spessa e un po’ cruda perché pesa e costa di più!
Nota. I termini in genovese non sono scritti con la corretta grafia, ma come si pronunciano: chiedo perdono!
Farinata di cecigenovese
Print RecipeIngredients
- Farina di ceci, 500 grammi
- Acqua, un litro e mezzo
- Olio evo ligure, un bicchiere scarso
- Sale grosso, 8-10 grammi
Instructions
Qualche ora prima di cuocerla, accendere il forno a legna senza forzare troppo la temperatura.
Mescolare la pastella delicatamente con un cucchiaio di legno e togliere con un cucchiaio l’eventuale schiuma.
Scaldare il testo, all’imboccatura del forno, versando poi l’olio che andrà distribuito in modo uniforme con movimento rotatorio.
Spostare il testo, versare il preparato facendolo cadere sul cucchiaio e non direttamente sul tegame.
Amalgamare con l’olio, usando un cucchiaio di legno e avendo l’attenzione di non toccare il fondo..
Infornare con la fiamma per 15, 20 minuti. Bisogna prima lasciare rapprendere la farinata e poi girarla, con gli appositi ferri (quelli nella foto li ha preparati Carlo), permettendole di cuocere uniformemente.
Tolto il testo dal forno, occorre lasciare riposare la farinata per qualche minuto, in modo da consentirne l’assestamento e il consolidamento.
Tagliare a fette, prima orizzontali e poi oblique, impiattare e, volendo, macinare sopra pepe nero.
Accompagnare con del buon vino bianco ligure.
Nota. Come in tutte le cose, ci sono moltissime varianti. Vengono inseriti nel testo, prima di infornare, i rossetti (una volta i bianchetti, ora vietati), la cipollina, il rosmarino, il gorgonzola, la salsiccia, ecc.
Grazie Lorenzo, è la pratica di molti anni! :D
Finalmente una spiegazione chiara, precisa ed esatta su come fare la farinata senza tutte le “belinate” che si leggono nella maggior parte dei blog.
Ciao Michele, il termometro interno non è preciso come quello di casa. Segna intorno ai 330 gradi! Buona farinata!
Molto bella questa farinata ma la temperatura per la cottura?? Ciao grazie
Michele