Sarà colpa del segno zodiacale (bilancia ascendente bilancia, che è già tutto dire), o una questione generazionale, o anche un fattore culturale o genetico, che sempre ci sta, ma in un mare di incertezze spicca la sicurezza che tutto, prima o poi, quadra.
Lungi da me addentrarmi in dissertazioni filosofiche, anche perchè, proprio al limite, potrei parlare di quanto e quale formaggio vada nel pesto, tanto per citarne una (che poi, a ben vedere, uno il pesto se lo mangia come gli pare e piace, o no? la ricetta è quella, il disciplinare pure, basta che non me lo dica perchè da genovese doc sul pesto scherzo poco :D), ma sono certa che tutto sia interconnesso.
Mi spiego.
Avete presente il gioco enigmistico “il bersaglio”?
Il mio potrebbe essere questo, in somma sintesi:
De Andrè → Luca → Pittima → Mauro Salucci, accademico → Io, fancazzista → Post
Fabrizio De Andrè è, senza far torto a nessuno, il cantautore più amato a Genova: ha il grande merito di avere scritto poesie (ricordo che La guerra di Piero era nella mia antologia) che non conoscono né tempo né mode.
Luca lo ama e apprezza molto, sia in italiano che in genovese e, tra queste ultime, ascolta volentieri l’ album “Creuza de mä” e, tra i vari brani,
A Pittima.
Da un po’ di tempo, nel gergo familiare e a solo nostro uso e consumo, regna la parola “pittima” che, semplificando, si attaglia perfettamente a persona lagnosa e che fa un po’ la vittima.
Quindi, basta che io dica “Uffa, ma devo andare proprio io??? sono stanca!” che Luca, che non ne fa passare una, subito ribatta “gneeeee!! fa la pittima!!!” in un irritante falsetto!
Nella graduatoria di famiglia la prima vera pittima (poverina, ne ha anche ragione, ma tant’è) è mia mamma: con seri problemi di salute e con tutti i motivi plausibili, ha però la tendenza a lamentarsi per le cose meno importanti e meno per le più serie … per cui a “cosa hai mangiato oggi?” “eh, cosa vuoi che mangi! la pappetta (le odia), lo sai che cosa mangio no? e io non posso più mangiare e … e perchè …” oppure “hai dormito stanotte? “no, non ho chiuso occhio tutta la notte!”: ovviamente l’ assistente (che dorme poco) dice il contrario! e così via in litania … si capisce, chiaro, però ciò non toglie che è pittima! :D
Secondo in classifica è Carlo, che quanto a lamento si difende bene pure lui “non cucini mai le cose che piacciono a me!” (infatti è la controfigura di zio Tibia!), “Devo fare sempre io la spesa grossa”, ecc. ecc.
Terza io, no comment (lo dicono gli altri, non io) e quarto Luca (per me sarebbe il terzo). Non che manchi Loch, in questo bel quadretto! Il fatto è che le pittime non ci piacciono (quelle vere, ovvio!)
In questa teoria del “tutto quadra”, proprio ieri ho letto un post sulla “pittima”: ditemi voi se non si sta incastrando tutto alla perfezione!
Potevo farmi scappare l’occasione? Certo che no!
Devo dire che, dopo il post serio e una mia ricerca su internet, ho avuto l’ennesima conferma che il mio motto trista(e)mente è:
#sonotalmenteignorantechealconfrontol’universoèunbottoncinodimadreperla
aprendo un mondo sconosciuto e inimmaginabile: non ridete perchè almeno io lo dico … e pure pubblicamente!
Tanto per cominciare, non è un termine dialettale: dizionario lingua italiana docet!
Viene definita pittima persona noiosa e lagnosa, seccatore.
E’ però anche (cito l’ enciclopedia online Treccani, da cui l’ immagine):
pittima Genere (Limosa) di Uccelli Caradriformi Scolopacidi, con becco lungo, arcuato verso l’alto, ali lunghe, appuntite, coda corta, quadrata, zampe alte e sottili, 3 dita anteriori.... Nidifica nelle regioni settentrionali dell’Europa e dell’Asia, dalle quali migra per svernare verso il Sud, in Somalia e Asia sud-occidentale. In Italia è irregolare. La p. reale (Limosa limosa) ha il groppone bruno o bruno-nerastro nell’abito invernale, testa e collo color fulvo-rossiccio smorto nell’abito estivo, nidifica in Europa e Asia settentrionale; migrante, sverna nelle Isole Britanniche, nel bacino del Mediterraneo, nell’Africa settentrionale, in Asia. In Italia è di doppio passo.
Parola che deriva dal greco, epithema, posto sopra, indica originariamente un impiastro, ovvero un decotto caldo a base di resine, erbe o pomate che viene applicato su una parte esterna del corpo a fini medicamentosi. Io ad es. ho letteralmente subito, come cura disperata della tosse, vedi lo sciroppo di bacche di sambuco, impiastri di semi di lino (rischiando il ricovero ai grandi ustionati) e impacchi di Vicks (rischiando il soffocamento): telefono azzurro non esisteva ancora! (Come era più la graduatoria delle pittime di casa?)
Da questa terapia e dalla simpatia che ha riscontrato nei malcapitati, sembra derivi “essere un impiastro”.
Storicamente invece, sembra che la pittima sia stata celebre figura delle Repubbliche di Genova e di Venezia.
… era colui che riscuoteva i debiti degli insolventi. A chi non pagava veniva affibbiata una pittima, che giorno e notte gli stava alle spalle ricordandogli il suo debito. Naturalmente per questo suo lavoro la pittima percepiva un compenso. Per svolgere questa delicata professione venivano scelte persone con particolari handicap fisici che dissuadessero il debitore dall’usare violenza per liberarsi dall’aguzzino. Normalmente indossava una casacca che nascondeva la povertà della sua natura.
Mauro Salucci
Ora, potete immaginare una sorta di Igor che vi perseguita tutto il giorno, appiccicato come un francobollo, con una visibilissima casacca rossa e che pure vi espone al pubblico ludibrio?
T’ê pròpio ‘na pìtima!
 PITTIMA
Fabrizio De Andrè
Cosa ghe possu ghe possu fâ
Cosa ci posso, ci posso farese nu gh’ò ë brasse pe fâ u mainä
se non ho le braccia per fare il marinaiose infundo a e brasse nu gh’ò ë män du massacán
se in fondo alle braccia non ho le mani del muratoree mi gh’ò ‘n pûgnu dûu ch’u pâ ‘n niu
e ho un pugno duro che sembra un nidogh’ò ‘na cascetta larga ‘n diu
ho un torace largo un ditogiûstu pe ascúndime c’u vestiu deré a ‘n fiu
giusto per nascondermi con il vestito dietro a un filoe vaddu in giù a çerca i dinë
e vado in giro a chiedere i denaria chi se i tegne e ghe l’àn prestë
a chi se li tiene e glieli hanno prestatie ghe i dumandu timidamente ma in mezu ä gente
e glieli domando timidamente ma in mezzo alla gentee a chi nu veu däse raxún
e a chi non vuole darsi ragioneche pâ de stránûä cuntru u trun
che sembra di starnutire contro il tuonoghe mandu a dî che vive l’è cäu ma a bu-n mercöu
gli mando a dire che vivere è caro ma a buon mercatomi sun ‘na pittima rispettä
io sono una pittima rispettatae nu anâ ‘ngíu a cuntâ
e non andare in giro a raccontareche quandu a vittima l’è ‘n strassé ghe dö du mæ
che quando la vittima è uno straccione gli do del mio